OPINIONI |

Made in Med, i valori del mare nostrum

MARKETING. CHE COSA SUGGERISCONO LE STRATEGIE DELL’ANSA, DELL’OCCITANE E DI CAMPER

di Luca M. Visconti, direttore didattico del Master in marketing e comunicazione della Bocconi

Più di un ventennio fa, molti teorici della globalizzazione prevedevano l’ineluttabile convergenza di stili di consumo, standard tecnologici e sistemi di offerta in un nucleo comune a livello planetario.

Alcune marche sono state persino assunte come metafora della paventata globalizzazione, parlando di Disneyficazione o McDonaldizzazione dell’economia di mercato. C’è sicuramente un fondo di verità. Chi di noi, oggi, non usa proprio i ristoranti di McDonald’s come porto franco quando viaggia da un capo all’altro del globo? E chi, comunque, non li trova a ogni pie’ sospinto?

La globalizzazione, tuttavia, ha portato con sé un’altrettanto accesa rinascita (rivincita?) dei localismi. Assieme a sapori, suoni, intrattenimenti globali riscopriamo il piacere per stimolazioni di mercato che affondano le radici in tradizioni uniche, in ricordi nostri o immaginati, in eccezioni alla regola dell’omologazione.
 
Si tratta del contraltare della globalizzazione, rappresentato dalla tutela del ‘country of origin’ e del ‘made in’. Gli studi in materia sono molti ed eterogenei. Spesso la provenienza di un prodotto (in termini di design, produzione e/o assemblaggio) è considerata come una delle caratteristiche estrinseche di un bene, al pari del prezzo, della marca o del packaging. In tal caso, con riguardo ai processi di acquisto sembra provato che il peso del fattore ‘made in’ aumenti per i consumatori più giovani, più istruiti e ricchi, o ispirati da motivazioni patriottiche ed etnocentriche.
 
Per altri, invece, il ‘country of origin’ non sarebbe uno dei tanti attributi considerati in fase di decisione d’acquisto, ma un elemento che darebbe un significato diverso a tutti gli attributi valutati. Giocherebbe quindi un ruolo trasversale, modificando le percezioni di prezzo, prodotto o distribuzione alla luce della provenienza certificata di un bene, soprattutto quando questi attributi non sono chiaramente comunicati al consumatore.
 
Tradizionalmente, però, l’attenzione è stata rivolta alla base nazionale del ‘made in’, sia quando questo supporta l’immagine di prodotto (si pensi al made in Italy) sia quando invece ne costituisce un tratto critico (l’opposto caso del made in China).
Più recentemente, si sta affermando la possibilità di usare aree sovranazionali, come quella mediterranea, per attribuire al prodotto o alla marca particolari valenze. Il Mediterraneo può certamente essere letto in termini geografici, e dunque come collettivo di paesi che condividono lo stesso mare nostrum.
 
Ad esempio, l’agenzia stampa Ansamed ha creato un network di 17 partner per offrire notizie aggiornate sui paesi mediterranei. Numerose iniziative di marketing territoriale hanno come obiettivo la crescita equa e bilanciata del bacino mediterraneo: si pensi all’Imed, Istituto per il Mediterraneo. E ancora, un’azienda come L’Occitane ha costruito la propria immagine di marca sulla localizzazione mediterranea, e provenzale in particolare, dei propri prodotti.
 
Il ‘made in Med’, comunque, non si esaurirebbe nell’identificare una precisa provenienza territoriale del prodotto. In alcuni casi, infatti, il Mediterraneo è impiegato come metafora di un sistema di valori, dunque di un ‘way of thinking’, costruito attorno alla celebrazione della lentezza, della connettività, del rispetto per il pluralismo di vedute.
 
Solo in questa prospettiva si può apprezzare la strategia di una marca come Camper, che invita i suoi clienti a “camminare, non a correre” o, ancor più sorprendentemente, a “non comprare il prodotto se non ne hanno davvero bisogno”. Le marche si fanno portatrici d’ideologie, e il Mediterraneo offre un portato di pensiero e tradizione unico, storicamente ricco e ancora oggi di grande (post)modernità.
In sintesi, i prodotti made in Med certificano non solo un’autenticità territoriale ma anche un’autenticità ideologica che trascende i confini geografici e diventa un “localismo globalmente fruibile”.

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