OPINIONI |

Ma il Kossovo è uno Stato?

IL CASO DEL PROTETTORATO METTE ALLA PROVA L'ARMAMENTARIO GIURIDICO E POLITICO INTERNAZIONALE

di Giorgio Sacerdoti, ordinario di diritto internazionale alla Bocconi e presidente dell'organo di appello del WTO

A metà febbraio scorso il Kossovo ha festeggiato (si fa per dire) un anno dalla proclamazione della sua indipendenza con un bilancio piuttosto magro a livello internazionale. Solo 54 paesi dei 192 membri dell’Onu hanno riconosciuto la nuova entità. L’opposizione della Russia, membro permanente con diritto di veto del Consiglio di sicurezza, ne ha bloccato per ora ogni prospettiva di ammissione al Palazzo di vetro. Persino cinque paesi membri dell’Unione europea hanno rifiutato il riconoscimento, nonostante il sostegno decisivo che l’Unione dà alla stessa esistenza del Kossovo con la missione di polizia e giudiziaria Eulex che di recente ha sostituito l’amministrazione dell’Onu. Dietro il mancato riconoscimento ci sono naturalmente ragioni politiche. Alcuni paesi (vedi Spagna) temono il contagio, cioè l’esempio di un’etnia secessionistica che diventa indipendente grazie al supporto internazionale nonostante l’opposizione dello stato di appartenenza. La Russia sostiene la Serbia, pensando alla Cecenia, però ha tutelato manu militari il separatismo di Abkazia e Ossezia dalla Georgia riconoscendole come nazioni sovrane.

Ma non ci sono solo contrasti politici, come quelli che portarono a tener fuori la Cina comunista dall’Onu fino a metà degli anni 1970, nonostante la realtà del suo dominio su tutto il territorio continentale. La stessa natura di entità sovrana del Kossovo è dubbia, prima di tutto in fatto: ci sono popolazione e territorio ma l’effettività del suo governo è incerta. Se non fosse stato per la risoluzione dell’Onu n. 1244 del 1999 che richiamava il principio dell’integrità territoriale degli Stati (contentino alla Serbia) ma metteva in opera un’amministrazione separata della regione sotto egida internazionale dopo l’intervento Nato a favore dell’etnia albanese, il Kossovo sarebbe ancora parte della Serbia. Proprio la Nato garantisce l’indipendenza e il governo locale con ben 15.000 soldati. In particolare tutela la minoranza serba nel nord del paese, di fatto sempre amministrato dalla Serbia, dato l’odio interetnico del restante 95% albanese della regione.

Sul piano giuridico può un paese che si configura come un protettorato internazionale qualificarsi come Stato sovrano? Basta la volontà di secedere e di costituire uno stato distinto perché una minoranza perseguitata possa rivendicare e ottenere l’indipendenza? Chi decide se uno Stato esiste o no, se possa o debba essere riconosciuto come tale e con quali effetti? È singolare che un requisito così fondamentale per la comunità internazionale sia tuttora così incerto nei suoi elementi. Il Kossovo come caso limite mette alla prova un armamentario politico-giuridico essenziale per evitare conflitti. Non a caso l’Assemblea generale dell’Onu nell’autunno scorso ha chiesto alla Corte internazionale di giustizia un parere proprio sull’esistenza dei requisiti del Kossovo come Stato. Anche in caso di risposta pro indipendenza sarà difficile che gli oppositori ammaino bandiera e che lo staterello balcanico possa raggiungere senz’altro all’Onu gli altri sei Stati nati dalla dissoluzione della Iugoslavia.

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