Come sopravvivere al lavoro che cambia. Senza vincitori ne' vinti
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Come sopravvivere al lavoro che cambia. Senza vincitori ne' vinti

L'AUTOMAZIONE CREA NUOVE OPPORTUNITA' MA LA TRASFORMAZIONE IN ATTO CREA ANCHE PROBLEMI SOCIALI COMPLESSI DA GESTIRE. ECCO PERCHE' BISOGNA INVESTIRE SU POLITICHE DI WELFARE INCLUSIVE E SULLO SVILUPPO DELLE COMPETENZE. SENZA FERMARE IL PROGRESSO

di Italo Colantone, assistant professor presso il Dipartimento di scienze sociali e politiche

Siete tecno-entusiasti? Oppure soffrite di ansia tecnologica? O forse entrambe le cose? Non sarebbe sorprendente: i cambiamenti, di ogni tipo, affascinano e spaventano allo stesso tempo, e spesso non sono indolori, anche se poi ci migliorano la vita.
L’automazione e l’intelligenza artificiale stanno cambiando rapidamente il mondo del lavoro. I media, inevitabilmente, ci restituiscono immagini contrastanti di questa realtà, e non è facile orientarsi.
Poco tempo fa ho conosciuto Nino. È un barista italiano in grado di preparare più di cento cocktail in un’ora. È un robot. Non vedevo l’ora di ordinare il mio aperitivo. Anche Hadrian X è un robot. Arriva dall’Australia, fa il muratore ed è in grado di costruire una casa in autonomia. Guardate i suoi video su internet. Come si fa a non entusiasmarsi?
Poi ho letto che il 50% dei posti di lavoro potrebbe scomparire nei prossimi anni a causa di computer e robot. Molti posti sono già scomparsi. Molti scompariranno quasi certamente. Per esempio, a breve non riceveremo più telefonate di telemarketing dai lavoratori dei call-center. Ci chiameranno dei robot.

Sono un economista, allora mi sono chiesto cosa ne sarà degli economisti. Secondo uno studio autorevole di Carl Benedikt Frey e Michael Osborne, dell’Università di Oxford, ho il 43% di probabilità di essere sostituito da un computer. Devo preoccuparmi?
Come sempre, o quasi, la verità sta nel mezzo. La storia dell’uomo è fatta di grandi cambiamenti tecnologici. Le trasformazioni generano benessere e progresso, ma hanno anche dei costi sociali rilevanti durante i periodi di transizione.
L’ansia legata alla disoccupazione tecnologica è un fenomeno ricorrente nel tempo. E non c’è bisogno di tornare indietro ai luddisti inglesi della prima rivoluzione industriale. Provate a cercare un articolo della rivista Time, del febbraio 1961, dal titolo The Automation Jobless. Vi sembrerà di leggere un pezzo del 2018. L’autore scrive che l’automazione sta progredendo così velocemente e sta interessando così tanti settori da diventare uno dei principali problemi degli Stati Uniti. Bene, se consideriamo gli enormi progressi tecnologici dal 1961 a oggi, sembra quasi incredibile che ci siano ancora così tante opportunità di lavoro nel mondo. Dobbiamo quindi essere ottimisti rispetto ai cambiamenti in atto?
Partiamo da un dato di fatto. I processi di automazione vanno inevitabilmente a sostituire dei lavoratori con delle macchine, distruggendo quindi dei posti di lavoro in via diretta. Ci sono però diversi canali attraverso cui si creano nuove opportunità di lavoro. Considerate solo questo: le aziende che innovano prodotti e processi produttivi tendono ad avere successo e a crescere, assumendo quindi nuovi lavoratori. Chiaramente, i nuovi assunti non saranno impiegati per le mansioni che vengono svolte dalle macchine, ma avranno ruoli di tipo diverso. Alcuni profili occupazionali saranno addirittura del tutto nuovi. Pensate ai programmatori di robot industriali, agli analisti di big data, o ai social media manager. Sono tutte occupazioni che si nutrono dei cambiamenti tecnologici recenti.

Il messaggio di fondo è molto intuitivo: l’automazione crea nuove opportunità per tutte le competenze e i profili che sono complementari alle nuove tecnologie. È così da sempre. È il mondo che si rinnova. Addirittura, secondo una stima del World Economic Forum, il 65% dei bambini che frequentano oggi la scuola primaria farà un lavoro che attualmente non esiste.
Queste considerazioni positive non devono però indurci a pensare che non esistano dei problemi complessi legati alle trasformazioni in atto. Il cambiamento tecnologico è simile alla globalizzazione. In aggregato è positivo per un paese, ma non tutti ne beneficiano allo stesso modo. Ci sono vincitori e perdenti, almeno nel breve periodo.
La gestione del cambiamento è difficile e chiama in causa attori diversi: istituzioni, imprese, scuola e università. L’obiettivo non può essere quello di frenare il progresso, come pure alcuni propongono. Occorre invece investire il più possibile sulle nuove tecnologie. Allo stesso tempo, però, bisogna accompagnare il cambiamento strutturale con delle politiche di welfare inclusive. È un punto chiave per garantire la sostenibilità sociale e politica del progresso, che non è mai davvero tale se non genera benefici ampiamente condivisi nella società.
La sfida principale, che ci riguarda direttamente, è quella delle competenze, o skills, per usare un termine ormai entrato nel nostro linguaggio comune. È importante identificare e investire su quelle che sono le competenze chiave del nuovo mondo del lavoro. A questo proposito, il piano di intervento è duplice. Da un lato bisogna lavorare sulla riqualificazione dei lavoratori già impiegati, per quanto possibile. Dall’altro occorre fare in modo che i giovani che escono da scuola e università abbiano dei profili in linea con i tempi, e con i bisogni delle aziende. È una sfida che va raccolta con ottimismo, e vinta.

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