OPINIONI |

Una cattiva assistenza per 40 milioni

SANITà NEGLI USA. A COSTI ALTISSIMI RISPETTO A QUELLI EUROPEI NON CORRISPONDE BUONA EFFICIENZA

di Giovanni Fattore, ricercatore del Cergas, il Centro di ricerche sulla gestione dell'assistenza sanitaria e sociale della Bocconi

La riforma del sistema sanitario sarà una delle sfide più difficili per il nuovo presidente degli Stati Uniti. Interessi corporativi giganteschi si metteranno di traverso per bloccare o limitare qualsiasi riforma. E il ricordo della bruciante sconfitta dell’amministrazione Clinton non è poi così lontano. Non è per niente facile riformare un sistema che assorbe un settimo del reddito nazionale, che ha assicurato ottime retribuzioni ai professionisti e prezzi elevati ad aziende farmaceutiche e di tecnologie, che trasferisce ingenti risorse al sistema giudiziario (in parcelle e risarcimenti) e che, in ogni caso, assicura un buon accesso all’assistenza a due terzi della popolazione.

Il rischio è che, alla fine, gli interessi di medici, ospedali e assicurazioni riescano ancora una volta a prevalere, anche con il favore dei rappresentanti della maggioranza della popolazione americana, sì critica nei confronti di un sistema costoso e iniquo, ma in fondo benevola verso un sistema che garantisce a molti l’accesso illimitato all’assistenza e all’innovazione tecnologica.

Eppure il mandato di Obama potrebbe essere l’opportunità per la riforma per due ragioni. La prima è di ordine strettamente economico: la spesa sanitaria, poco importa se pubblica o privata, è un costo eccessivo per il sistema produttivo. In media, il costo della sanità negli Stati Uniti è circa il 50-60% più alto che in Germania e Francia e quasi il doppio che in Italia e Regno Unito. I prezzi di beni e servizi prodotti negli Usa perdono competitività perché costretti a coprire gli elevati costi delle assicurazioni private e pubbliche. In questo senso, il problema del sistema sanitario non è il rapporto tra spesa pubblica e privata per la sanità, ma l’eccessivo livello complessivo delle risorse destinate al settore. La crisi economica potrebbe favorire politiche pubbliche più aggressive e più efficaci nel moderare i consumi sanitari, rendere più efficiente il mercato assicurativo, contenere le dinamiche retributive e filtrare l’ingresso di nuove tecnologie più costose. In sostanza, la crisi e la necessità di rafforzare la competitività delle imprese americane potrebbero favorire un potenziamento dei sistemi di regolazione del sistema, senza comunque intaccare la sua natura mista pubblica-privata.

L’altra forza che potrebbe favore la riforma è proprio lo spirito del “Yes, we can”. Sì, il presidente Obama potrebbe anche volare così alto da mettere fine allo scandalo di 40 milioni di persone, tendenzialmente appartenenti a ceti medio-bassi, che sono sprovvisti di un’assicurazione sanitaria e che pertanto ricevono assistenza in modo inadeguato e inefficiente. Inadeguato perché spesso chi non ha l’assicurazione non riceve assistenza tempestivamente e con le tecnologie migliori; inefficiente perché i bisogni assistenziali tendono a scaricarsi sui servizi di pronto soccorso, con costi elevati e complicati sistemi per compensare gli ospedali per servizi a cui non corrispondono rimborsi.

L’irrazionalità del sistema è pienamente riconosciuta: la questione non è la diagnosi ma la cura. Come dare copertura a quasi il 20% della popolazione senza nazionalizzare il sistema assicurativo? È questa la vera sfida di Obama e forse dell’idea stessa che possano esistere sistemi assicurativi sanitari privati in grado di dare garanzie universali in condizioni di efficienza.

Forse Obama può farcela seguendo le orme delle grandi riforme del 1964. In quell’anno, il Congresso approvò il più grande intervento di protezione sociale della storia degli Stati Uniti istituendo Medicare (il programma universale di assicurazione sanitaria per gli anziani) e Medicaid (la famiglia di programmi per i poveri amministrati dagli stati). Con quella riforma decine di milioni di americani poterono accedere più facilmente e serenamente all’assistenza sanitaria e nessuno oggi mette in discussione il valore di quella scelta. Ma era il 1964 e il presidente Kennedy, l’ideatore della riforma, era stato assassinato qualche mese prima.

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