I difficili equilibri di Kuala Lumpur
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I difficili equilibri di Kuala Lumpur

UN PERFETTO BINOMIO TRA TRADIZIONE MILLENARIA E E DIVERSITA' CULTURALI, KUALA LUMPUR E' UN HABITAT PARTICOLARMENTE ATTRATTIVO PER LE STARTUP. COME SPIEGA L'ALUMNUS BOCCONI CLEMENTE LEONE

Nei supermercati di Kuala Lumpur c’è un reparto vietato agli under 18 e ai Malay, che non sono un’etnia minoritaria, ma quella che costituisce la metà della popolazione, nonché l’etnia che detiene il controllo sociale e politico. Il reparto è quello che vende alcolici e carne di maiale e il divieto è dovuto al fatto che, mentre il resto della popolazione è soggetto solo alla legge dello stato, i Malay sono soggetti anche a quella islamica. Un Malay non può bere alcolici, ma se lo fa un cinese, un indiano (due minoranze molto numerose) o un occidentale la cosa è perfettamente tollerata.

Il sud-est asiatico, si sa, è un’area del mondo con un altissimo potenziale di sviluppo. Ma non tutti sanno che gli ingredienti di questo possibile successo risiedono nel perfetto binomio tra diversità culturale e tradizioni millenarie. Oltre ai numerosi gruppi etnici, anche grattacieli, rooftop e lussuosi centri commerciali che riescono a creare un equilibrio (quasi) armonico con i templi e le piccole botteghe. Vivere e lavorare in Malesia significa integrarsi culturalmente con una popolazione che ha aperto le proprie porte agli expat, ma anche essere nel nodo centrale di una rete che va dal Vietnam all’Indonesia o dalle Filippine alla Thailandia.

Kuala Lumpur, in particolare, è un ambiente molto vivace per le startup, che sono spesso finanziate o fondate da occidentali e che richiamano numerosi studenti universitari in stage dall’Europa. Durante il mio stage (dieci settimane presso iprice, una startup di e-commerce) ho partecipato a un evento della BAA, la Bocconi Alumni Association, al quale hanno preso parte una trentina di persone, tra cui almeno una decina di studenti in stage come me e gli altri bocconiani residenti in Malesia.

Essendo partito di fretta, ho trovato un alloggio quando ero già in Malesia, utilizzando Airbnb come avrei fatto in una qualsiasi altra metropoli del mondo. Servizi e prodotti occidentali sono comunemente disponibili, a prezzi più elevati, mentre il costo della vita per tutto ciò che è locale è più basso. Così una cena a base di prodotti europei da comprare e poi cucinare può costare l’equivalente di una decina di euro, mentre per una cena fuori ce la si può cavare con tre... Insomma non c’è partita.

Le startup sono ambienti di lavoro multiculturali, spesso con manager e giovani stagisti europei o nordamericani, ma con la presenza di expat asiatici e di personale locale. Nel giro di pochi minuti si può, allora, passare da un confronto diretto tra manager occidentali alla condiscendenza degli asiatici, abituati al rispetto delle gerarchie e culturalmente non abituati a criticare.

Le startup del mondo digital hanno saputo cogliere le opportunità e la voglia di fare di una popolazione che non vuole comunque rinunciare alle proprie tradizioni. Nel tempo libero i Malay, per esempio, preferiscono frequentare i locali halal, che assicurano cibo in linea con i precetti islamici, e finiscono per avere pochi contatti con gli altri, ma come straniero non mi sono mai sentito discriminato in alcun modo.

Non sono, naturalmente, tutte rose e fiori. Le infrastrutture hanno ancora ampi margini di sviluppo, il forte attaccamento alle tradizioni può a volte rallentare l’innovazione, le istituzioni devono ancora attraversare degli importanti processi di riforma. L’esperienza vissuta mi rende, però, fiducioso che questa terra riuscirà a trasformare le imperfezioni in grandi opportunità.

Clemente Leone è laureando del corso magistrale in International Management e del programma Cems-Mim dell'Università Bocconi. A Kuala Lumpur partecipa a uno stage presso il team business intelligence di iprice una startup di e-commerce con sede nella capitale malese.
 

 

di Clemente Leone

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