Bene la politica interna, male quella estera: i voti a Obama
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Bene la politica interna, male quella estera: i voti a Obama

VOLGE AL TERMINE UNA DELLE PRESIDENZE CHE HA SUSCITATO LE MAGGIORI ATTESE DI OGNI TEMPO. L'APPROVAL RATE SI E' MANTENUTO A BUONI LIVELLI, MA GLI SCIENZIATI SOCIALI SOLLEVANO OBIEZIONI

di Franco Bruni, ordinario di teoria e politica monetaria internazionale

Nel 2013, dopo quattro anni e tre mesi di presidenza, Obama prese B- nel giudizio di 203 professori di 69 fra i migliori atenei statunitensi. L’anno scorso, gli scienziati politici americani, interrogati dal think tank Brookings, misero Obama al 18° posto su 43 presidenti americani. Sono giudizi di tono molto inferiore all’entusiasmo della sua prima elezione e all’approval rate che, per quanto instabile, è stato spesso a buoni livelli. D’altra parte le stranezze politiche Usa sono tali che il 43% dei repubblicani lo crede musulmano e molti sono convinti sia nato in Kenya.
 
TUTTE LE CONTRADDIZIONI
Il giudizio sulla presidenza Obama sconta tante contraddizioni. Sotto il primo presidente di colore, sempre attentissimo, avanzato, sofisticato nelle questioni dei neri e degli ispanici, la conflittualità razziale statunitense è aumentata. Politicamente ed economicamente liberal, durante il suo governo è molto cresciuta la diseguaglianza dei redditi del suo Paese. Nobel per la Pace poco dopo essere stato eletto, ha visto aumentare la pericolosità delle guerre dove gli Usa sono impegnati diplomaticamente e militarmente. Accolto, appena insediato, con enorme stima in quasi tutto il mondo, ha presieduto anni di declino della leadership Usa.
I migliori risultati di Obama sono stati in politica interna, soprattutto in economia. Eletto nel pieno della grande crisi 2008-9, ha gestito una politica economica molto interventista che ha contribuito alla ripresa della crescita e dell’occupazione. Con sforzo immane ha realizzato la sua maggiore riforma, quella sanitaria, grazie alla quale, fra l’altro, gli americani senza assicurazione sanitaria sono diminuiti di 16 milioni in 5 anni. Di gran rilievo anche la riforma delle regole del sistema bancario, oggi più sano di quello europeo. Obama ha rinnovato il mandato di presidente della banca centrale a Bernanke: per quanto uno dissenta dall’intensità e dalla lunghezza della creazione di liquidità che questi ha promosso, il consenso che allora suscitava rendeva difficile una scelta diversa. La politica monetaria non è stata comunque preoccupazione rilevante di Obama, cui si deve nel 2014 anche la nomina di Janet Yellen, sulla quale il giudizio di molti sta deteriorandosi. Quanto alla politica di bilancio, gli anni di Obama hanno visto una violenta espansione anticiclica del deficit, poi in parte corretta, e rocambolesche lotte col Congresso sul tetto del debito pubblico, sfiorando il limite del default anche per una strategia del presidente che molti hanno giudicato esitante. Qualche eccesso di compromesso c’è stato forse anche nel discutere con i repubblicani la cancellazione dei tagli d’imposte ereditati da Bush, che non è stata così incisiva per i redditi alti come avrebbe voluto.
 
I PROBLEMI PROVENGONO DA DUE FRONTI
In politica estera il giudizio su Obama è più critico. Partito con intenti pacificatori e con grandi ambizioni diplomatiche, soprattutto nei confronti della Russia, ha mostrato più volte contraddizioni e incertezze che hanno portato a risultati molto criticati, soprattutto nelle forme del “disimpegno” in Iraq, nella guerra libica, nel deteriorarsi dei rapporti con Mosca, con Pechino, con Tel Aviv. Ha però avuto recenti plausi per gli sviluppi con l’Iran e Cuba. La Casa Bianca ha guidato un intenso sforzo di liberalizzazione dei commerci globali e degli investimenti internazionali, soprattutto il trattato transpacifico e quello transatlantico, ma il successo è scarso e il trattato transpacifico, pur concluso, rischia di non essere ratificato dal Congresso mentre entrambi i candidati alla successione di Obama sono contrari a entrambi i trattati. 

Che cosa ha contenuto, se non rovinato, il successo di una presidenza così promettente, di un uomo così “nuovo”, la cui retorica e stile personale non hanno quasi mai smentito il loro fascino? Semplificando al massimo, i problemi paiono venuti da due parti. Innanzitutto il clima politico interno agli Usa, reso divisivo e aspro da un’opposizione sordamente radicale e populista. Lo scontro continuo col Congresso è andato al di là del ragionevole anche se Obama sembra aver fatto il possibile. Nel giudizio di molti è però emerso anche il limite della sua capacità politica, articolata intellettualmente al punto da renderlo spesso disposto ad approcci troppo indiretti e dialogici, esitante, contraddittorio. Questo limite è apparso soprattutto in politica estera ma anche all’interno le sue difficoltà sono forse derivate non solo dall’essere sé stesso di fronte a grandi ostacoli, ma anche dal non esserlo abbastanza. Sarà la storia, coi suoi tempi lunghi, a dare il giusto giudizio.
 

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