Equitalia, l'anomala
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Equitalia, l'anomala

IL MODELLO E' DIVERSO DA QUASI TUTTI GLI ALTRI PAESI E IL DEBITO FISCALE FUORI SCALA. LA RIFORMA PARTA DA QUI

di Alessandro Santoro, docente di Scienza delle finanze

La dichiarazione di Renzi sull’abolizione di Equitalia in tempi brevi, è l’occasione per fare il punto sul modello di riscossione delle imposte. Per molti anni la riscossione delle imposte in Italia è stata affidata a concessionari bancari, che operavano in sostanziale assenza di incentivi e di vincoli. Ciò ha comportato l’accumularsi di imposte dovute ma non riscosse e un notevole affievolimento della capacità dissuasiva dell’azione di contrasto dell’evasione. Nel 1998 è stato introdotto, con la riforma Visco, il modello agenziale basato sull’idea di una pluralità di agenzie a cui venivano demandate le funzioni di amministrazione e di accertamento delle imposte.

Questo è il modello a oggi prevalente nei paesi sviluppati, posto che l’incorporazione dell’ufficio delle imposte all’interno del ministero è considerata una soluzione meno efficiente perché più soggetta a vincoli politici. Tuttavia, la realizzazione del modello agenziale in Italia si è discostata in diversi aspetti da quanto accade in altri paesi. Tra queste differenze si colloca la scelta di non attribuire all’Agenzia delle entrate la funzione di gestione del debito fiscale, ovvero la riscossione delle imposte. Il sistema dei concessionari bancari privati è stato quindi superato con la creazione, nel 2005, di Equitalia, una società per azioni a capitale pubblico, controllata al 51% dall’Agenzia delle entrate e al 49% dall’Inps, che ha inizialmente agito da unico riscossore delle imposte e dei contributi dovuti a tutte le pubbliche amministrazioni, centrali e locali. Come noto, Equitalia è stata coinvolta in numerose polemiche, soprattutto negli anni più pesanti della crisi finanziaria, a causa della sua presunta severità. A ben guardare, tuttavia, l’anomalia italiana non sta nei poteri attribuiti ai riscossori, ma nella scelta di affidare tali poteri a una società esterna e diversa dall’ente (l’Agenzia delle entrate, appunto) cui spetta l’amministrazione delle imposte. Questa scelta separatista è seguita oggi solo da 7 dei 34 paesi Ocse che sono censiti nel database Tax administration in Oecd countries.

L’esternalizzazione della riscossione, in effetti, riduce le economie di scala e di organizzazione, e può favorire logiche di gestione delle risorse non efficienti, in particolare quando la società riceve, come nel caso di Equitalia, delle remunerazioni sul riscosso il cui livello è fuori mercato. È quindi possibile che si arrivi in tempi brevi al riassorbimento della funzione di riscossione nell’ambito dell’Agenzia delle entrate, come accade in tutti i più grandi paesi europei. Tuttavia, anche questo cambiamento non potrà non misurarsi con il vero problema, ovvero le dimensioni e la natura del debito fiscale non riscosso, a sua volta legato all’enorme ammontare dell’evasione in Italia. Sempre secondo le statistiche Ocse, l’Italia aveva, alla fine del 2013, uno stock di debiti fiscali non riscossi di 713 miliardi di euro (contro i 40 della Francia e i 23 della Spagna), di cui il 25%, cioè circa 180 miliardi, di fatto non più esigibili. Qualsiasi riforma dovrà partire da qui.
 

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