Una nuova alba per le major del petrolio
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Una nuova alba per le major del petrolio

INSIDIATE DALLE IMPRESE NAZIONALI SUL FRONTE DELLE RISERVE PETROLIFERE E DELLA CAPACITA' DI SFRUTTARLE, I CINQUE COLOSSI INTERNAZIONALI DEVONO CAMBIARE LE PROPRIE STRATEGIE SE VOGLIONO CONTINUARE A ESSERE LEADER DEL SETTORE

di Robert Grant, professore presso il Dipartimento di management e tecnologia

Il collasso dei prezzi degli ultimi due anni ha devastato l’industria del petrolio e del gas. I profitti netti delle cinque supermajors (Exxon Mobil, Shell, Chevron, BP e Total) si è ridotto da 105 miliardi di dollari nel 2013 a 20 miliardi nel 2015. «La peggiore crisi in una generazione» secondo un manager del settore.
Tuttavia, la volatilità di prezzo non è una caratteristica nuova. Con la scarsa elasticità della domanda e dell’offerta, piccoli cambiamenti in una o nell’altra causano grandi movimenti di prezzo. Non sono nuovi neppure prezzi così bassi: il Brent era a 32 dollari alla fine del 2008 ed è rimasto sotto i 30 dollari per gran parte del periodo tra il 1985 e il 2002, raggiungendo il minimo di 9,10 dollari nel dicembre 1998.
Questa volatilità maschera una crescita costante di lungo periodo della domanda globale: lo 0,9% annuo per il petrolio e il doppio per il gas naturale. Gli sforzi per limitare il riscaldamento globale non intaccheranno questo trend. La BP stima che nel 2035 le fonti fossili copriranno l’80% delle necessità energetiche mondiali.
Tuttavia, se il futuro dell’industria è assicurato, quello delle major non lo è. I prezzi bassi hanno evidenziato le loro debolezze strategiche, soprattutto l’erosione dei loro vantaggi competitivi.

Il successo dell’industria petrolifera dipende da una risorsa chiave, le riserve di idrocarburi, e da una capacità fondamentale: quella di trovare e sfruttare tali riserve. Entrambe fanno difetto alle major internazionali.
In termini di riserve, le major internazionali sono attori di secondo livello: le top 10 sono tutte imprese petrolifere nazionali, con in testa National Iranian Oil Company, Saudi Aramco, Pdvsa e Kuwait Oil, con costi di produzione ben al di sotto di quelli delle major.
In termini di capacità di esplorazione e di produzione, le major sono superate dalle società di servizi. Il rapporto R&S/fatturato dell’industria è un misero 0,3%, ben al di sotto di quello di altri settori maturi come le automobili (4,4%) o la chimica (2,8%). E la quota delle società di servizi continua ad aumentare. Nel periodo 2013-15, la spesa in ricerca e sviluppo della Schlumberger ha superato quella di ogni major eccetto la Shell.
Così pressate, le major devono ridefinire il loro ruolo. Preoccupate dall’esaurimento delle riserve, hanno promosso esplorazioni di frontiera, accompagnate da notevoli rischi tecnici, economici e ambientali. Tuttavia, prezzi così bassi rendono inutilizzabile gran parte di queste riserve. L’alternativa sono le partnership con chi possiede le più vaste riserve del mondo ovvero le imprese petrolifere nazionali e i loro governi.

Un ruolo di questo genere comporta un cambiamento strategico: non più percentuali di sfruttamento dei giacimenti altrui ma contratti di servizio e quote di minoranza in joint venture con le imprese petrolifere nazionali e passaggio dalla costituzione di riserve alla costruzione di capacità. Tale riposizionamento richiederebbe una rinnovata leadership nelle tecnologie di esplorazione e produzione e la riaffermazione della presenza lungo l’intera catena del valore, soprattutto nel gas naturale. Nel ruolo di partner, le major dovrebbero anche acquisire le capacità necessarie al più ampio sviluppo economico, sociale e umano dei paesi che le ospitano. Come dimostrato dall’Eni in Congo e in altri paesi dell’Africa sub-sahariana, per farlo si deve dialogare con i governi a più livelli e fare leva sulle capacità dei partner, comprese le Ong.
La rinnovata tendenza all’integrazione verticale è confermata dal ritorno delle major sul business downstream. Dopo decenni di investimenti upstream e di vendita degli asset downstream, le cose stanno cambiando: nel 2015 il rendimento del capitale di Exxon Mobil per le attività upstream è stato del 4,4%; downstream 28,2%.
La riformulazione delle strategie offre alle major la possibilità di trasformare la loro immagine pubblica. Demonizzate come agenti del riscaldamento globale e come alleate di autocrazie corrotte, le major possono diventare agenti di sviluppo e di progresso umano in paesi in cui la ricchezza del petrolio convive con bassi indici di sviluppo umano, come la Nigeria e la Guinea Equatoriale.
 

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