Giuseppe Sala: un successo universale costruito un passo alla volta
ALUMNI |

Giuseppe Sala: un successo universale costruito un passo alla volta

ESPERIENZA, MEDIAZIONE E VISIONE GENERALE: COSI' IL COMMISSARIO UNICO DI EXPO2015 E ALUMNUS BOCCONI DELL'ANNO HA VINTO LA SFIDA

La fiumana dei visitatori di Expo scorre ininterrotta pochi metri fuori dai vetri opachi del suo ufficio. Numerosissima nonostante il maltempo. Il conteggio a fine giornata segnerà un nuovo record di presenze, eppure Giuseppe Sala, Commissario unico di Expo e Alumnus Bocconi dell’anno, non sembra esserne stupito, quasi avesse sempre avuto la certezza che, usciti dall'impervia gimcana che è stata la strada per la realizzazione di questa manifestazione, il rettilineo del Decumano avrebbe ospitato un quotidiano rito trionfalistico degno degli Champs-Élysées.

Che cosa pensa quando vede questa folla?

È una grande soddisfazione, inutile nasconderlo. Expo è, fino a oggi, la vera cosa difficile che ho fatto. È stato un piccolo capolavoro, perché si è gestito una cosa pubblica con mano privata. Se ripenso agli ultimi cinque anni mi accorgo che io sono venuto qui ogni mattina con la testa del manager privato, e questo molte aziende l'hanno capito. Altrimenti tutti i partner, che ci hanno dato più di 400 milioni e hanno realizzato gran parte del lavoro, non avrebbero mai firmato contratti nel momento in cui sui giornali Expo era l'inferno. Non voglio considerare Expo un punto d'arrivo perché non so che cosa ci sia domani, ma un punto di sintesi certamente sì. È come se tutto quello che ho studiato, tutto quello che ho imparato, tutto il mio diventare uomo, fosse stato fatto per arrivare qua.

Quale è stato il suo segreto per il successo di Expo?

Sembrerà banale ma la mia regola d'oro è progredire poco a poco, un passo alla volta. È un approccio che mi porto dietro da sempre e che vale ancora di più nelle operazioni più complesse. Expo è stato un lavoro per fasi durato cinque anni, durante i quali è stato fondamentale stabilire di volta in volta le priorità, i passi da fare e quelli da non fare.

Per un top manager, insomma, la visione d'insieme conta più della specializzazione...

Io credo di sì. D'altra parte le grandi università tendono proprio a dare ai manager conoscenze diffuse. Il mondo professionale richiede specializzazioni, ma essere un buon manager non significa solo essere competente. Anzi, via via che si cresce nelle responsabilità si è sempre meno competenti e, in compenso, si acquisiscono visione d'insieme, capacità di pianificazione, doti di resistenza, leadership, sensibilità da mediatore. L'importante è crearsi un archivio con tanti cassetti con le esperienze che si sono fatte e attingere di volta in volta a quello che serve di più. È chiaro che qui a Expo, per esempio, ho attinto molto di più al cassetto del mediatore.

Lei è stato manager in multinazionali, ma anche al Comune di Milano. C'è molta differenza tra gestire il privato o il pubblico?

Moltissima. Obiettivamente essere manager nel privato è più facile. Perché non si è mai realmente da soli. Hai bisogno di un parere? Lo compri. Di una persona? La scegli. Nel pubblico occorre sempre passare per bandi, gare, e poi ricorsi... La vita del manager privato inoltre è più remunerativa. Non è un problema da sottovalutare perché siamo così folli in questo paese da dire che un manager pubblico deve guadagnare al massimo 250mila euro... ma è sbagliato. Così le risorse migliori vanno nel privato e nel migliore dei casi, al pubblico resta chi, come me per esempio, può permetterselo perché ha già guadagnato tanto altrove.

Si è mai realmente preparati a fare il manager pubblico? A gestire, cioè, quella parte imponderabile del mestiere che sono i rapporti con le istituzioni, le relazioni con la politica, le lobby...?

In Francia c'è una lunga scuola e una tradizione anche universitaria di questo tipo, in Italia è una scoperta relativamente nuova. La Bocconi potrebbe implementarla, per esempio.

Potrebbe farlo lei... dopo il 31 dicembre naturalmente. In fondo il rapporto con l'università in cui si è laureato non si è mai interrotto.

Nonostante quello che scrivono i giornali non so ancora che cosa farò dopo Expo. So invece che il legame con la Bocconi non si interromperà. Anche perché ho sempre avuto un senso di restituzione verso l'ateneo che ha fatto molto per me. Sono cresciuto in una famiglia di piccoli imprenditori, in Brianza, e, quando mi sono iscritto alla Bocconi, volevo trovare una mia dimensione che non fosse quella di mio padre e della mia famiglia. L'università mi ha esposto a un confronto e a un ambiente internazionale, mi ha permesso tutto quello che è venuto dopo. Oggi cerco di restituire quello che posso anche insegnando qualche ora (nel corso del professor Marco Agliati) e per il piacere di continuare a sentirmi parte di quel mondo e di quell'ambiente. Ma questa idea di restituire qualcosa alla comunità è la stessa che mi ha fatto resistere qui a Expo, devo avercela proprio dentro.

Però a dicembre andrà via... Non la incuriosisce sapere che cosa accadrà dopo?

Sì, mi incuriosisce, ma credo sia un'altra storia. Dopo che si è riusciti in qualcosa del genere, se si è saggi, non bisogna pensare di realizzare un'impresa ancora più fenomenale. Occorre sapere di essere ancora utili ma senza l'ansia di dover iperperformare. Al di là del fatto che, dopo 5 anni come questi ultimi, ho in testa un gran temporale e vorrei davvero un attimo di quiete.
 

di Lorenzo Martini

Ultimi articoli Alumni

Vai all'archivio
  • Aggiornarsi e' la chiave di volta

    Marco Ceresa (CEO di Randstad Italia e alumnus Bocconi) delinea i fattori che condizioneranno le professioni di domani, dalla crescente importanza dell'equilibrio tra lavoro e vita privata all'avvento dell'intelligenza artificiale. Una sfida per le persone, ma anche per le imprese

  • Roadshow nel mondo e mentorship, ecco la fase due di Changed by Women

    Dopo aver ispirato in una grande serata di storie e musica in occasione dell'8 marzo, adesso il progetto da' il via a una serie di incontri nei chapter della Bocconi Alumni Community nel mondo e ad un programma di mentorship al femminile. Oltre al sostegno delle studentesse attraverso il Women Fund

  • Chaptr Global, la startup del Kenya che migliora l'accesso all'istruzione

    Basata sul concetto del impara adesso, paga dopo, l'impresa cofondata da Cyril Michino promette di migliorare un sistema di finanziamento all'istruzione che non favorisce i giovani senza storia creditizia

Sfoglia la nostra rivista in formato digitale.

Sfoglia tutti i numeri di via Sarfatti 25

SFOGLIA LA RIVISTA

Eventi

Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
        1 2 3
4 5 6 7 8 9 10
11 12 13 14 15 16 17
18 19 20 21 22 23 24
25 26 27 28 29 30 31