San Francisco, dove gli italiani fanno fortuna da 150 anni
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San Francisco, dove gli italiani fanno fortuna da 150 anni

MAURO BATTOCCHI, ALUMNUS BOCCONI, RACCONTA LA VITA A RIDOSSO DELLA SILICON VALLEY

Gianfranco Norelli è il cineasta che ha raccontato l’immigrazione italiana negli Stati Uniti in due documentari dai titoli tanto diversi, da essere emblematici. Se, per la costa Est, ha scelto Pane amaro / Bitter Bread, il titolo dell’opera dedicata alla West Coast, Finding the Mother Lode, significa “trovare la vena principale di una miniera”, fare centro. La California anche oggi è una realtà che chiede a dà molto a chi viene a cercare fortuna. Per me è un privilegio rappresentare l'Italia qui dal 2012 come console generale a San Francisco.
I primi italiani sono arrivati in California con la corsa all’oro di metà dell’Ottocento e hanno fatto fortuna come agricoltori, commercianti, pescatori e finanzieri. La figura simbolo è Amadeo Giannini, il figlio di immigrati genovesi che fondò la Bank of Italy, poi diventata Bank of America. Sono stati gli italiani, in quegli anni, a portare in California la coltura della vite e dell'olivo e a dare al paesaggio l’aspetto che oggi conosciamo, così simile ad alcuni panorami toscani o siciliani e così godibile, nel tempo libero, per i cittadini di San Francisco.
L’ondata immigratoria successiva comincia negli anni ’60 del Novecento ed è legata allo sviluppo dell’industria dei semiconduttori. La figura più nota è quella di Federico Faggin, il fisico veneto che ha ingegnerizzato il primo microprocessore al mondo, ma il flusso è stato incessante. Olivetti creò, qui, un Advanced Technology Center che, negli anni ’80, arrivò a impiegare quasi 200 ingegneri. Dopo la chiusura del centro, molti di loro sono diventati imprenditori seriali e business angel, attirando nella Silicon Valley altri italiani.
E arriviamo agli ultimi anni e a un’economia che ruota intorno alle startup tecnologiche. Gli italiani vengono qui perché è il luogo dove si concentra più della metà del venture capital americano. A decine sono già riusciti a farsi finanziare, a crescere e a vendere – la strategia di exit più diffusa. E hanno saputo organizzarsi per fare rete, un’attività indispensabile per sopravvivere da queste parti.
Se dalle persone vogliamo passare ai numeri, il risultato di tanta effervescenza sono i 20.000 italiani ufficialmente residenti nella regione o i 700.000 americani di origine italiana che vivono nella California settentrionale. Allargando gli orizzonti, più di metà degli imprenditori di Silicon Valley sono stranieri.
Ma nessuno deve illudersi: se l’ambiente è favorevole a chi ha una professionalità legata alle tecnologie o a chi abbina formazione giuridica italiana e statunitense, le restrizioni all’immigrazione sono notevoli. Le industrie tecnologiche hanno creato una rete di lobbying a Washington, Fwd.Us, per promuoverne l’allentamento. San Francisco e la Silicon Valley ti accolgono indipendentemente da razza, nazionalità, colore e orientamento sessuale, ma sono ferocemente meritocratiche: le porte sono tutte aperte, ma il passaggio non è facile per nessuno. Se il fallimento, tra le startup, è quasi la norma, esso non comporta nessuno stigma sociale e ci si può sempre riprovare.
L’incessante afflusso di professionisti sta, infine, creando uno scontro culturale tra San Francisco e l’adiacente Silicon Valley, che ha ormai sconfinato in città. Gli affitti sono saliti alle stelle, gli sfratti si fanno più frequenti e i locali simbolo della cultura alternativa arrancano. Speriamo che, in città, si possano incontrare ancora a lungo personaggi come Lawrence Ferlinghetti, il leggendario poeta, libraio ed editore della Beat Generation – figlio di un immigrato lombardo – e bere un cappuccino con lui al Caffé Puccini.

di Mauro Battocchi, alumnus Bocconi, e' console generale d'Italia a San Francisco

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