Quando i clienti fanno Ooh
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Quando i clienti fanno Ooh

PAOLO DOSI, A.D. DI CLEAR CHANNEL ITALIA, RACCONTA COME SI INNOVA IN UN SETTORE COME L'OUT OF HOME

La prima cosa in cui ci s’imbatte nella sede milanese di Clear Channel Italia è una bicicletta del servizio BikeMi, che la società gestisce dal 2008 in partnership col comune meneghino. Poche stanze più in là, nell’ufficio dell’amministratore delegato Paolo Dosi, campeggia un’enorme riproduzione del volante di una Ferrari F1. Attorno ai pulsanti sono stati aggiunti i key driver della società: “global”, “smart”, “distinctive”, “innovative”. Bocconiano, classe 1965, Dosi è a capo della media company attiva nel campo dell’out-of-home advertising (Ooh) dal 2013. La parola “affissione” è ormai insufficiente per descrivere l’attività di Clear Channel che, oltre a 6.100 poster, gestisce migliaia di spazi di arredo urbano e impianti digitali.
Quali sfide si è trovato ad affrontare quando ha assunto la carica di a.d.?
L’azienda era strutturalmente in perdita. Ho dato il via a un processo di ristrutturazione importante e doloroso, focalizzandomi sul core business ed esternalizzando le attività di manutenzione e incollaggio. Eravamo 210 dipendenti, siamo diventati 150. A partire dall’acquisizione alla fine del 2013 del contratto con Aeroporti di Roma è partita una forte spinta allo sviluppo, soprattutto in ambito digitale: nel 2012 avevamo 43 impianti digitali, alla fine di quest’anno ne avremo circa 700, nel 2016 contiamo di superare quota 1.000. Nel 2014 siamo cresciuti di oltre il 40% in termini di fatturato e abbiamo ripreso ad assumere con competenze in ambito del marketing e del digitale.
Quali sono i trend dell’Ooh?
È un mercato in sofferenza, vanno trovati percorsi innovativi per recuperare budget che vengono investiti altrove. È necessario allargare lo spettro d’azione facendo mockup degli impianti, utilizzando il digitale che è il trend a livello europeo, investendo nel bike sharing come abbiamo fatto a Milano e Verona. Oggi il poster non è più il business trainante e infatti si parla di out-of-home 2.0: prima c’era l’affissione, oggi si guarda ai luoghi di aggregazione in cui le persone possono interagire coi brand, ovvero stazioni ferroviarie, aeroporti, centri cittadini.
Il bike sharing è al tempo stesso un servizio e un prodotto di comunicazione. Come si è passati dall’affissione alla co-gestione delle flotte di biciclette?
Fino al 2012 era considerato un servizio che permetteva di avere un rapporto col Comune: Clear Channel lo gestiva a fronte delle autorizzazioni per installare impianti pubblicitari in città. Negli ultimi anni è stato sfruttato maggiormente dal punto di vista commerciale. Recentemente abbiamo introdotto a Milano E-Bike a pedalata assistita al fianco delle biciclette tradizionali: è il primo bike sharing integrato al mondo. È un prodotto di comunicazione adatto anche all’ottica di geolocalizzazione: piccole attività locali possono brandizzare le stazioni di bike sharing della loro zona.
Quali sono le specificità del nostro paese?
In Italia l’arena competitiva è molto frammentata e il mercato soffre d’abusivismo e mancata applicazione delle regole. Milano è all’altezza delle migliori città europee, ma è un’eccezione. Roma ha la peggiore pubblicità esterna d’Europa.
Qual è il futuro dell’Ooh?
Oggi chi ha uno smartphone può già interagire con alcuni impianti pubblicitari. Domani sarà possibile includere la nostra impiantistica nel programmatic, il sistema per cui la pubblicità è venduta in tempo reale intercettando la profilazione media di chi si trova in un certo ambiente, ad esempio un aeroporto o un centro commerciale.
 

di Claudio Todesco

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