In campo contro la fame
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In campo contro la fame

SONO LE NORME SOCIALI, PRIMA ANCORA DELLA DIFFUSIONE DELLA TECNOLOGIA IN AGRICOLTURA, A BLOCCARE LO SVILUPPO E LA CRESCITA NEL TERZO MONDO. DA QUI DEVONO PARTIRE LE RIFORME

di Eliana La Ferrara, professore ordinario titolare della cattedra in Sviluppo economico Fondazione romeo ed Enrica Invernizzi

Nel 1996 la Fao, Food and Agriculture Organization, stimava che fossimo ormai in grado, da almeno trent’anni, di dare 2.700 calorie al giorno a ogni abitante della Terra. Nei paesi in via di sviluppo si calcola che si possano acquistare 2.400 calorie con 21 centesimi di dollaro, una quantità di denaro disponibile anche a molti dei più poveri tra i cittadini di questi paesi. Eppure quasi 870 milioni di persone al mondo soffrono di sottonutrizione e il 98% di loro è concentrato nei paesi in via di sviluppo.
Quando si cerca di spiegare le ragioni del fenomeno, i dati della Fao e i calcoli degli studiosi ridimensionano il ruolo di molti dei soliti sospetti. Intanto, non è vero che la produzione agricola del pianeta sia insufficiente a soddisfare il fabbisogno di tutti. È, però, certamente vero che il mondo occidentale assorbe una quota sproporzionata della produzione e che la quantità che raggiunge i mercati dei paesi più poveri è spesso inadeguata. La tentazione di dare tutta la colpa alla cattiva distribuzione del cibo e del reddito che servirebbe ad acquistarlo è dunque forte, ma se esaurissimo con questo la nostra analisi finiremmo per raccontare solo una parte della storia.
 
âžœ dai diritti di proprietà alle tradizioni
Un problema universalmente diffuso nei paesi in via di sviluppo è lo scarso rendimento agricolo. Per una perniciosa combinazione tra mancato sfruttamento delle aree coltivabili e produttività limitata, nella stragrande maggioranza dei paesi africani la quota realizzata del prodotto potenziale non supera il 20%. Ciò significa che, semplicemente sfruttando meglio le terre e gli input disponibili, si potrebbe aumentare la quantità di cibo prodotta in loco. Come mai allora la produttività rimane bassa? I limiti nelle tecnologie disponibili, o nella conoscenza di tali tecnologie da parte degli agricoltori, possono giocare un ruolo importante. Ma anche qui non riescono a spiegare l’entità del fenomeno. L’utilizzo di fertilizzanti relativamente economici, per esempio, è ancora estremamente basso nonostante gli agricoltori siano spesso al corrente dell’esistenza e dei benefici di tali prodotti.
Per capire meglio alcuni di questi apparenti paradossi, è utile chiamare in causa alcune norme sociali che spesso regolano il funzionamento delle economie informali dei paesi in via di sviluppo.
Per esempio, se i diritti di proprietà e quelli di trasmissione ereditaria hanno contorni incerti, pochi saranno disposti a investire nei miglioramenti fondiari o nell’acquisto di tecnologia, necessari a migliorare la produttività agricola. Nel peggiore dei casi, i terreni rimarranno addirittura incolti.
I più esposti alle espropriazioni improvvise sono i soggetti socialmente più deboli, quelli che detengono meno potere politico, e a essere in questa condizione sono tipicamente le donne. Si registra, così, un notevole differenziale di genere nella produttività agricola, che uno studio sul Burkina Faso ha calcolato in circa il 30%.
La letteratura registra anche casi in cui a prevenire gli investimenti nei fondi agricoli è la solidarietà rispetto alla famiglia allargata, alla quale sono obbligati tutti i membri. Accade, infatti, che alcuni soggetti relativamente facoltosi tendano a occultare la propria ricchezza, per non dividerla con gli altri, evitando investimenti vistosi come quelli in attrezzatura agricola o miglioramenti fondiari. Più in generale, le norme sociali sono cruciali nel determinare come le risorse vengono prodotte e allocate all’interno delle famiglie.
Preferenze individuali o culturali, infine, possono far sì che, quando le condizioni economiche individuali migliorano, il reddito aggiuntivo non sia utilizzato per l’acquisto di cibi che garantiscano una maggiore quantità di calorie, ma per cibi che piacciono di più. È un fenomeno che si può quantificare studiando ciò che accade a chi si trasferisce da un’area in via di sviluppo ad un’altra, parimenti non sviluppata: spesso le persone non rinunciano alle proprie abitudini alimentari e, anziché massimizzare la quantità di calorie acquistabile con il proprio reddito, continuano e comprare i cibi più diffusi nella regione d’origine, anche quando nel luogo di residenza sono più costosi e a discapito dell’introito calorico.
Quando si progettano interventi pubblici è, dunque, cruciale tenere a mente che l’impatto di queste riforme sulla nutrizione può essere piuttosto complesso. Da una parte, le riforme possono influenzare la produttività agricola, che a sua volta può condurre a un’accresciuta produzione di cibo e a una migliore nutrizione. Dall’altra, vi sono effetti potenziali, derivanti dall’interazione con mercati diversi da quello agricolo, che agiscono attraverso le norme sociali. Lo studio del contesto sociale ed economico specifico, delle consuetudini e delle norme non dovrebbe essere trascurato nella implementazione di queste riforme.

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