Il capitale umano che dal fronte progetto' l'Italia
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Il capitale umano che dal fronte progetto' l'Italia

AZIENDE CHE PRESTO GUIDERANNO IL MERCATO E GIOVANI LAUREATI AL FRONTE DESTINATI A UN FUTURO DA MANAGER. E' L'EREDITA' ALL'ITALIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

di Andrea Colli, professore ordinario presso il Dipartimento di analisi delle politiche e management pubblico

Il 24 maggio 2015 ricorrerà il centesimo anniversario dell’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, in quell’enorme carnage che segnò l’avvio di una terribile guerra civile che gli europei si inflissero per oltre tre decenni, prima di comprendere l’utilità (e anche la bellezza) di una pace durevole e di un’unione difficile, ma necessaria.
All’Italia la guerra costò, malcontati, 651 mila morti in armi (circa la metà dei francesi e degli inglesi, un terzo dei tedeschi, la metà degli austriaci e ungheresi) e oltre 590 mila civili, un tributo inferiore solo a quello versato dai serbi. Insomma, un contributo non piccolo a un orribile massacro collettivo, perpetrato con tutta la grandiosità consentita dalle nuove tecnologie all’origine del mondo moderno.
 
âžœ le imprese che fecero l’italia
Il prezzo pagato dall’Italia sembrò certo altissimo a quanti da subito parlarono di vittoria mutilata. Allo storico (economico e d’impresa, in questo caso), corre però l’obbligo di sottolineare come quel macello epocale lasciò dietro di sé anche effetti durevoli di radicale trasformazione economica e modernizzazione in senso industriale di un paese. Un paese che solo da un paio di decenni aveva cominciato ad abbandonare la posizione periferica in cui due secoli di frammentazione politica e malgoverno l’avevano relegato, dopo i fasti del Rinascimento.
L’Italia entrò in guerra con un anno di ritardo (per fortuna, verrebbe da dire, dato che i morti avrebbero potuto essere di più), ma vi entrò all’altezza di uno sforzo che Luigi Einaudi ebbe a definire «di materiali e d’industria». Vi entrò ai margini del gruppo dei paesi più avanzati e ne uscì membro a pieno titolo di quello che oggi siamo soliti definire G- seguito da qualche numero a una cifra. Alcune delle sue aziende divennero proprio con la guerra leader nelle rispettive industrie, acquisendo posizioni di semi-monopolio ma anche uno standing internazionale di tutto rispetto. Imprese destinate a dominare stabilmente interi settori, e per molti decenni a occupare le posizioni di vertice del capitalismo italiano (Fiat, Montecatini, Ansaldo, Edison, Falck, solo per citarne alcune) nello sforzo bellico trovarono la spinta strategica, e, soprattutto, le risorse per espandere i propri confini e il proprio livello di integrazione, sia orizzontale che, soprattutto, verticale.  Le tecniche produttive su vasta scala fecero, per necessità, ingresso nel linguaggio industriale.
La guerra devastò una generazione, seppellendone una buona parte e traumatizzando per sempre i sopravvissuti. Tuttavia, nelle trincee in cui furono stipati contadini e operai, non solo per la prima volta si formò una sorta di coscienza nazionale (cementata da una lingua che fu giocoforza parlare, evitando i mille dialetti), ma anche, per molti aspetti, una classe dirigente. 
 
➜ generazioni di leader
Gli studenti universitari costituirono il bacino naturale di reclutamento per i quadri dell’esercito. A questi ventenni, trasformati in tenenti e capitani di complemento, vennero affidati uomini da comandare e, eventualmente, guidare al massacro. Laureatisi al fronte, come si diceva, maturarono in fretta, e quanti ebbero la fortuna di tornare travasarono le competenze di comando nelle posizioni di leadership che si trovarono a ricoprire, inspessendo il sostrato di capitale umano su cui il paese si trovò a costruire il definitivo sviluppo postbellico. Molti, però, non tornarono. La Bocconi, fondata da poco ma già istituzione leader, perse tanti dei suoi studenti, in proporzione più di tutti gli altri atenei milanesi. I loro nomi si ritrovano incisi su un monumento nel cortile del Velodromo, di fronte al quale tutti quanti noi bocconiani, egualmente distratti, più volte al giorno ci troviamo a passare.
 

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