Come si tengono in scacco i contrasti lavorativi in un ambiente internazionale?
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Come si tengono in scacco i contrasti lavorativi in un ambiente internazionale?

GIOVANNI CISERANI, ALUMNUS E GROUP PRESIDENT DI PROCTER GAMBLE, SPIEGA COME HA STABILITO LE SUE REGOLE DEL GIOCO

Fare il manager è un gioco, o quasi. La vita di Giovanni Ciserani, Group President di Procter & Gamble, ha conosciuto vari cambi di scenario. Il primo momento di svolta è stata la laurea all’Università Bocconi, che gli ha aperto le porte verso un mondo di opportunità. La sua carriera nel marketing con P & G è cominciata subito dopo la fine dell’università e lo ha portato a Roma, in Germania, nel Regno Unito e a Ginevra, dove lavora attualmente. Da buon tifoso di calcio, Giovanni Ciserani applica le regole e le strategie dei giochi nel suo lavoro di leader internazionale.

Il concetto di leadership internazionale suggerisce spesso l’idea di complessità. Come si conciliano le responsabilità di un global manager con un atteggiamento disinvolto?

Dal mio punto di vista, fare business significa vincere una partita. Per questo motivo il ruolo del leader è assimilabile a quello di un allenatore affidabile e lungimirante. Un buon leader è in grado di stabilire il percorso del proprio team perché sa a quale gioco sta giocando e conosce gli obiettivi dell’azienda. Una squadra di calcio non può vincere ogni partita e neppure giocare con la stessa intensità e allo stesso livello qualitativo per tutto il campionato. Allo stesso modo, le aziende devono stabilire obiettivi e priorità realistici, ed è il manager a dover prendere questo tipo di decisioni. Questo compito mette a disagio perché comporta molti rischi, ma si impara con l’esperienza.
Assieme alla progettualità, l’altro requisito fondamentale per essere bravi allenatori e leader efficienti è la fiducia. Pragmaticamente, non credo all’esistenza dei superpoteri, né ai manager che fanno tutto da soli. Quello che invece può fare un manager è trovare persone con capacità notevoli, far leva su quelle capacità a beneficio del team e sceglierne i membri in modo che possano compensarsi a vicenda. Allo stesso tempo il leader deve sempre essere disponibile a fornire aiuto e supporto. Così sì costruisce una squadra vincente.
Per quanto riguarda la dimensione globale del lavoro, essere un leader internazionale significa fare i conti con le stesse sfide che si trova ad affrontare qualsiasi manager, cioè la capacità di sopportare lo stress fisico e mentale, abilità decisionali, flessibilità, ma in scala più estesa. D’altro canto, la leadership internazionale offre più opportunità in termini di esperienze e di diversità, perché consente di attingere da un bacino di competenze e contesti molto più ampio.

Quali sono gli altri ingredienti chiave per costruire un team di successo, oltre alle abilità individuali ben miscelate?

Non posso certamente dire di avere una ricetta segreta, anche se effettivamente ho un mio metodo personale. Una cosa che per me è essenziale è il conflitto positivo, cioè l’espressione del disaccordo quando si discutono la strategia e gli obiettivi del team. Questo non ha niente a che vedere con il conflitto negativo, che riguarda il livello personale. Il conflitto positivo, che io chiamo “divergenza – convergenza”, è uno strumento molto potente per valutare l’efficacia di una strategia e tutte le possibili alternative. Dal momento che richiedo a tutti i membri di un team di contribuire anche attraverso il loro dissenso, ritengo che sia necessario creare un ambiente e una cultura in cui il dibattito costruttivo sia non solo ben visto, ma auspicabile, e non ci sia il timore di subire conseguenze negative se si è in disaccordo. Per farlo il leader deve rassicurare gli individui, assumendosi la responsabilità di eventuali errori ma anche attraverso dei gesti simbolici che incoraggino il contrasto. Personalmente, quando qualcuno esprime un parere diverso dal mio, gli stringo la mano e gli do un buono per un caffè. Potrà anche sembrare poco convenzionale, ma questo è il tipo di comportamenti che nel lungo termine contribuiscono a creare un ambiente a misura di conflitto. Contemporaneamente mi sono sempre impegnato a creare una cultura comunicativa informale e diretta. C’è stato un momento durante la mia carriera in cui mi sono reso conto che, se volevo avere successo, dovevo concentrarmi sui miei punti di forza ed essere me stesso. Se la comunicazione deve servire a stabilire la strategia migliore o a risolvere un problema nel minor tempo possibile, credo che l’approccio spontaneo sia quello più efficace.

Durante la sua carriera è entrato a contatto con molti stili comunicativi e lavorativi diversi. Questa esperienza ha cambiato il suo modo di essere un manager e di comunicare?

La svolta è stata quando ho capito che comunicare è come giocare a scacchi. L’esperienza mi ha insegnato che i fattori della motivazione personale variano da cultura a cultura e da un’azienda all’altra. Ad esempio, in certi contesti l’entusiasmo per un progetto si innesca se si mostra un obiettivo chiaro. In altri casi, è il capire ogni singola fase del piano di lavoro che fa scattare la molla. Altre volte è necessario partire dall’analisi della situazione di partenza prima di esporre il nuovo progetto. Dipende tutto dalle persone con cui ci si trova a collaborare di volta in volta. Per comunicare in modo efficace bisogna concentrarsi meno su cosa si vuole dire e come trasmettere quel messaggio, e più sulle reazioni che si ottengono dalla controparte. Con la pratica si sviluppano empatia e intelligenza emotiva, e si impara ad adattare il proprio stile di comunicazione in base alle reazioni che si percepiscono e al risultato che si vuole ottenere. Da questo punto di vista, fare domande è essenziale. Essere un leader internazionale mi ha dato l’opportunità di imparare a porre le domande giuste a seconda del contesto e delle persone con cui si sta parlando, e di capire che la maggior parte degli stereotipi sugli stili comunicativi sono irrilevanti. Sono gli individui, la loro personalità e il loro contributo effettivo che contano.
 

di Testo raccolto da Elisa Bazzani

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