Se l'Agenzia delle Entrate si fa i suoi dirigenti
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Se l'Agenzia delle Entrate si fa i suoi dirigenti

LA SOLUZIONE TROVATA DALL'ISTITUZIONE PER AGGIRARE IL CONTINUO ANNULLAMENTO DEI PROPRI CONCORSI HA FATTO DISCUTERE ED E' STATA BLOCCATA DALLA CORTE COSTITUZIONALE. MA, A BEN GUARDARE, SI TRATTA DI UN MODELLO CHE ANTICIPA LA RIFORMA MADIA

di Raffella Saporito, direttore dell'Emmap, l'Executive master in management delle amministrazioni pubbliche di SDA Bocconi

Licenziabili o inamovibili? Legittimi o illegittimi? Un dibattito acceso e contraddittorio, quello sui dirigenti pubblici, che macina informazioni diverse, senza riconoscere che sono pezzi dello stesso mosaico.

Nei giorni scorsi il discorso è stato polarizzato dalle parole del ministro Madia sulla licenziabilità dei dirigenti, proposta accolta da un’opinione pubblica troppo incline alla caccia alle streghe come la soluzione di tutti i mali.
Nello stesso periodo, La Corte costituzionale boccia 800 dirigenti ‘a contratto’ dell’Agenzia delle Entrate, fatto (la dirigenza a contratto) riportato come fosse un esempio di malcostume amministrativo. Così, gli stessi che ieri inneggiavano alla licenziabilità dei dirigenti, oggi si scandalizzano per il caso dei dirigenti illegittimi delle Entrate.
Peccato che questi 800 dirigenti siano proprio dirigenti ‘licenziabili’, come vorrebbe il ministro Madia. Tecnicamente rischiano di perdere l’incarico dirigenziale e gli emolumenti collegati, non il posto, essendo funzionari di ruolo. Ma la sostanza non cambia. Anzi, si potrebbe dire che il modello delle Entrate ha per certi versi anticipato la riforma.
 
I concorsi per dirigenti che l‘Agenzia ha bandito negli anni sono sempre stati annullati o sospesi, perché non ritenuti conformi ai vincoli di legge. Per l’Agenzia il concorso deve verificare non solo le conoscenze teoriche, ma anche le competenze maturate sul campo dei candidati, ambizione stoppata dalla giustizia amministrativa in quanto ritenuta priva di fondamento normativo.
Pertanto, tra un concorso annullato e l’altro, l’Agenzia si è nominata i suoi dirigenti a termine scegliendoli tra i propri funzionari, in genere prima ‘sperimentati’ in altre posizioni di responsabilità.
La recente sentenza della Corte ha stabilito i limiti di legittimità di questa soluzione e resta aperta la questione di cosa succederà agli 800 dirigenti-non dirigenti. Sarà l’Agenzia a fare un passo indietro o è la legge che deve cambiare?
Un fatto è certo: il caso delle Entrate ci pone alcune domande sui meccanismi di gestione della dirigenza.
 
In primo luogo, qualunque azienda non si preclude la possibilità di cercare i propri manager anche oltre i propri quadri: oggi la legge prevede che il 50% delle posizioni bandite a concorso siano riservate ad esterni. Forse il vincolo del 50% è troppo alto, troppo rigido, un po’ ideologico. Ma attrarre bravi manager anche dall’esterno è interesse non solo dei potenziali candidati, ma dell’azienda stessa, per rinnovarsi. Su questo l’Agenzia dovrà trovare una risposta, qualunque sia il modello che sceglierà. Inoltre, il discorso è valido anche al contrario: il sistema delle Entrate sostanzialmente impedisce ai manager dell’Agenzia di fare i dirigenti altrove. Paradossalmente in un concorso da dirigente ‘classico’ un funzionario-manager, con ampia esperienza gestionale, rischierebbe di avere meno chance di uno giovane con zero esperienza di management, ma fresco di studi amministrativi e con più tempo libero da spendere a studiare per passare gli esami. E nemmeno questo fa bene al sistema pubblico, che ha bisogno di contaminarsi con le pratiche manageriali in uso alle Entrate. Il risultato è che oggi l’Agenzia viene percepita come un mondo chiuso, isolato, in entrata ed in uscita, aumentando così la diffidenza.

Ma i punti di forza del modello delle Entrate non possono essere ignorati dalla riforma in corso.

Il primo riguarda lo sforzo di coerenza dei percorsi di carriera: in quante amministrazioni un giovane funzionario può ambire a crescere in coerenza con le proprie capacità manageriali dimostrate sul campo? Il problema dei percorsi di carriera oggi non è l’automatismo, ma la loro assenza! È vero per tanti funzionari e pure dirigenti, magari entrati giovani col corso-concorso, super selezionati prima, abbandonati poi nelle stesse posizioni, per anni. Le Entrate offrono questa possibilità di crescita, che permette ai giovani funzionari di investire nell’amministrazione per cui prestano servizio, sapendo che è anche un modo per investire su di sé. Oggi, invece, per diventare dirigente bisogna spesso fare un concorso altrove, ritagliare del tempo per ‘prepararsi al concorso’, come se fare bene il proprio lavoro da funzionario non fosse abbastanza e non servisse alla carriera.

Il secondo punto riguarda i meccanismi di selezione della dirigenza: il concorso tradizionale, volto a verificare le conoscenze teoriche, può andar bene (forse) per assumere dei giovani ad inizio carriera. Ma per scegliere un dirigente, l’esperienza professionale acquisita deve contare. La valutazione sul campo o il periodo di prova sono strumenti di selezione necessari. La pubblicità ed imparzialità di un concorso non sono assicurate (solo) dal tema scritto o dalla domanda estratta da un bussolotto: si possono tutelare neutralità e accountability anche con sistemi di selezione orientati all’efficacia, come i laboratori di assessment, la valutazione dell’esperienza, i colloqui, etc.

In buona sostanza, mentre discutiamo della licenziabilità dei dirigenti, dovremmo ricordare che il cuore della questione non è nella facilità della fine del rapporto di lavoro, ma nella coerenza dei meccanismi di ingresso: ammesso – e non concesso – che poter licenziare più facilmente i dirigenti pubblici porti qualche vantaggio, cosa ci assicura che chi verrà dopo saprà fare meglio? D’altra parte se i concorsi che puntano a valutare anche le competenze e l’esperienza sono illegittimi, allora bisogna capire che cos’è che vogliamo adeguare: se la norma al buon senso o il buon senso alla norma.
Si tratta di uno snodo critico per la riforma: scegliere il modello della dirigenza indipendente dalla politica non significa scegliere l’inamovibilità o gli automatismi di carriera, ha recentemente ribadito Madia. Vero, i modelli di basati sulla posizione e non sulla carriera si basano su questo principio. Ma la credibilità della riforma che verrà si baserà non tanto sulla licenziabilità facile, ma sulla capacità di costruire concorsi innovativi, che aprano a percorsi di sviluppo coerenti: dovremmo puntare ad avere dirigenti che non saranno licenziati, non perché è impedito dalla legge, ma perché ben selezionati, capaci di fare il loro mestiere e collocati al posto giusto.
 

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