Localizziamo la politica industriale
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Localizziamo la politica industriale

UNA FUNZIONE DI REGIA VICINA AL TERRITORIO DOVREBBE VALORIZZARE LE ATTIVITA' INNOVATIVE CHE POSSONO COSTITUIRE LA MOLLA DELLO SVILUPPO DI UNA DETERMINATA AREA PRODUTTIVA

di Giuseppe Berta, professore associato di Storia contemporanea

Si torna a parlare di politiche industriali locali, tema richiamato di recente anche dal Centro Studi di Confindustria. Esso chiama in causa l’opportunità di ripensare il rilancio della produzione industriale a partire dalle condizioni che possano valorizzare al massimo gli strumenti e le dotazioni in possesso di un territorio. Si tratterebbe di definire per questa via una sorta di “matrice locale” che è finora mancata alle politiche per lo sviluppo “bottom up” delle regioni.
Il nodo della questione sta nell’individuare bacini locali caratterizzati da attività innovative plurali, allo scopo di analizzare gli elementi che, una volta estesi e generalizzati, possono costituire la molla dello sviluppo di una determinata area. Ciò sottintende una funzione di regìa che, a seconda delle caratteristiche dei contesti, può essere svolta o da un’impresa o da una rete di servizi di pubblica utilità o magari da una fondazione di origine bancaria, coinvolta nell’investimento sulle dotazioni territoriali.
Tale funzione di regìa deve aggregare una massa critica di risorse e dotazioni sufficiente a migliorare il posizionamento competitivo dell’area nel suo complesso, mediante la cooperazione con università, centri di ricerca, branche dell’amministrazione regionale. Risulta fondamentale la capacità di pensare assieme produzione e attività di servizio, in modo di farle evolvere di conserva.
Un siffatto embrione di matrice istituzionale si proietta quindi oltre la tradizionale frontiera fra pubblico e privato, fra attività produttiva diretta e mansioni di servizio al mercato. Mira soprattutto a saldare in un continuum progettazione, produzione e servizi, impostandoli dall’origine secondo un principio di coerenza e di unitarietà.
L’operazione decisiva consiste nel consolidare fra i vari soggetti e i differenti operatori un linguaggio condiviso - una sorta di koinè unificante - che rappresenta il vero valore aggiunto della matrice. Di qui lo sviluppo di un approccio comune ai problemi, per rendere progressivamente più omogeneo il comportamento dei vari operatori, a prescindere dalla natura dell’organizzazione di appartenenza. L’esito finale deve perciò essere identificato nella costituzione di una community, il cui cemento è qualcosa in più della somma degli interessi, ma presuppone la capacità di individuare un cammino condiviso.
Il modello che è stato abbozzato potrebbe corrispondere agli obiettivi di una politica industriale a livello territoriale, nel senso di avvicinarne gli attori e di indurli a una verifica continua della loro capacità di interazione e di collaborazione. Potrebbe incrinarne le separatezze, riducendo le distanze fra le loro differenti procedure di lavoro e, soprattutto, inducendoli a considerare questioni da affrontare non più soltanto dal loro stretto punto di vista. Nel medesimo tempo, potrebbe garantire la ricaduta sul territorio degli altri legami di filiera che i diversi soggetti intrattengono con attori esterni. Darebbe luogo a un processo di scambio e di condivisione delle conoscenze indispensabile per una cross-fertilization efficace. Infine, potrebbe consentire di valorizzare le specificità locali, mettendole nella condizione di dialogare con altre realtà territoriali.
Le aree potenzialmente interessate a questo approccio non coincidono con i distretti industriali del passato. Sono territori spesso più circoscritti, che si caratterizzano per la prevalenza di una vocazione produttiva. Può trattarsi di aree caratterizzate da tecnologie medio alte o alte (come le attività aerospaziali che si raccolgono attorno a Cameri, Novara) o realtà dove prevale l’agroalimentare. O anche i poli meccanici e meccatronici lungo la “motor valley” emiliana. Territori che hanno in comune un potenziale espansivo superiore a quello che finora hanno potuto esprimere.
Lo scenario della creazione di molteplici “matrici di sviluppo locale” non può evidentemente surrogare il vuoto di una politica nazionale e comunitaria. Ma può rappresentare uno stimolo concreto alla loro attuazione, anche ostacolando la progressiva disarticolazione in atto all’interno dei vari sistemi economici locali.
 
 
 

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