Investire in innovazione per potersi differenziare
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Investire in innovazione per potersi differenziare

CHI HA RADDOPPIATO IL FATTURATO TRA IL 2007 E IL 2012 SI E' SPECIALIZZATO IN PRODOTTI NON FACILI DA REPLICARE

di Fabiano Schivardi, titolare della Cattedra Rodolfo Debenedetti in Entrepreneurship

 
L’economia italiana ha risentito pesantemente della grande recessione. Ma la sua fase di difficoltà, in realtà, precede la crisi internazionale: è da vent’anni che la crescita langue. I dati mostrano che è mancato soprattutto il contributo della produttività totale dei fattori (Tfp), che misura la capacità di un sistema di innovare e organizzare meglio il processo produttivo per produrre di più a parità di risorse impiegate.
A fronte di questa performance aggregata negativa, vi è ampia evidenza che alcune imprese sono state in grado di adattarsi con successo al nuovo contesto competitivo. Secondo dati Cerved, fra il 2007 e il 2012 più di 3.000 imprese di medie dimensioni hanno almeno raddoppiato il fatturato, grazie anche a un alto tasso di investimento, in particolare in capitale immateriale. Il tratto comune delle imprese che hanno saputo navigare la crisi è che si sono riposizionate su fasce di prodotti in cui la competizione avviene soprattutto su caratteristiche del bene non immediatamente replicabili dai concorrenti, particolarmente di paesi in via di sviluppo. Ma per proporre al mercato prodotti differenziati da quelli di potenziali concorrenti è necessario investire in innovazione, in marchi, nell’organizzazione dell’impresa, nella distribuzione: in una parola, in capitale immateriale.
Molte di queste attività hanno una forte componente di costo fisso. Una campagna pubblicitaria, lo sviluppo di un brevetto, la costruzione di una rete commerciale in un altro paese comportano una spesa che è in parte indipendente dalla quantità prodotta. Da questo punto di vista, la dimensione d’impresa rappresenta un elemento importante. Imprese molto piccole non hanno la scala necessaria per sostenere questi tipi di spese. La struttura dimensionale delle imprese italiane è caratterizzata da una ridotta scala media, circa la metà della media europea e sono ben più piccole delle concorrenti tedesche. La ridotta dimensione era un vantaggio quando la competizione era soprattutto sui costi di produzione. Oggi che si è progressivamente spostata su altri ambiti, diventa un fardello.
Ma cosa spiega la ridotta dimensione delle imprese italiane? Una risposta univoca non esiste. Anni fa avevo considerato il ruolo della legislazione sul lavoro e in particolare dell’articolo 18 (Identifying the Effects of Firing Restrictions through Size-Contingent Differences in Regulation con R. Torrini,  Labour Economics, Vol. 15, pp. 482–511, 2008). Il fatto che la legislazione sul lavoro diventi più stringente sopra la soglia dei 15 dipendenti costituisce un disincentivo a crescere. E in effetti, nei dati si vede che il disincentivo c’è. Allo stesso tempo, il suo effetto è modesto e spiega solo una piccola quota della differenza nella dimensione media delle imprese italiane rispetto agli altri paesi sviluppati.
Un altro fattore è la struttura proprietaria, finanziaria e di controllo prevalente fra le imprese italiane, basata su imprese familiari finanziate prevalentemente con capitale bancario. Gli imprenditori italiani si sono mostrati molto focalizzati sul mantenimento del controllo dell’impresa. Questo può diventare un handicap di fronte a possibilità di crescita consistenti. Fasi di crescita richiedono apporti di capitale di rischio e di capacità manageriali nuove. Non sempre queste risorse si ritrovano nell’ambito familiare. Aprire il capitale a soggetti esteri, quali operatori di venture capital e di private equity, contribuisce a cogliere appieno le opportunità di crescita. 
Insomma, queste piccole imprese sono state il volano dello sviluppo dell’economia italiana. In futuro è necessario, però, che quelle che hanno possibilità di crescita le sfruttino, anche a costo di aprire il capitale sociale e il gruppo dirigente ad apporti esterni. Accanto alle piccole imprese deve crescere la platea di medie e grandi imprese.  Solo una struttura dimensionale meno sbilanciata permetterà al nostro sistema produttivo di tornare a competere con successo nel contesto internazionale.
 

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