Retail, un mercato quasi saturo
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Retail, un mercato quasi saturo

I GIGANTI EUROPEI, AMERICANI E GIAPPONESI, FINO A OGGI, SI SONO SPARTITI IL MONDO IN ZONE D'INFLUENZA, MA PRESTO COMINCERA' LA GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI

di Nicola Misani, ricercatore presso il Dipartimento di management e tecnologia dell'Universita' Bocconi

I risultati comunicati da Inditex nel marzo 2014 sono una battuta d’arresto nella crescita finora inarrestabile dei fashion retailer. Il gigante spagnolo ha ottenuto utili operativi di 3,1 miliardi di euro, maggiori di H&M, Gap e Fast Retailing, gli altri grandi. Ma questi utili non hanno superato quelli dell’anno precedente. È la prima volta dal 2008. Il dato si accompagna ad altre bandierine rosse, come il minore sviluppo dei negozi (Inditex ne ha aggiunti solo 331, mai così pochi dal 2003) e la frenata in Cina (solo 61 negozi aggiunti, nel 2012 erano stati il doppio).

I profeti di sventura annunciarono un rallentamento di Inditex già nel 2000, ma da allora ha raddoppiato i paesi serviti, moltiplicato per cinque le vendite, e per sei il numero dei negozi, ormai oltre 6.300. Questa volta i dubbi riguardano una possibile saturazione del mercato. Metropoli come Londra, New York o Shanghai, dove i negozi di Zara, H&M, Gap e Uniqlo si sfidano uno di fronte all’altro, mal rappresentano il resto del mondo, che è spartito in sfere di influenza. Le vendite europee di Inditex rappresentano 2/3 del suo fatturato; negli Usa ha meno negozi che in Ucraina; in Asia vende meno che in Spagna. Uniqlo Japan genera il 60% del fatturato di Fast Retailing. H&M realizza in Nord Europa e Germania il 45% del suo; in Cina fattura quanto in Olanda. Gap è fedele al Nord America, che ospita i 4/5 dei suoi negozi.

Questa distribuzione geografica in parte deriva dalla storia delle aziende, tutte abbastanza recenti e cresciute vicino ai paesi di origine. In parte riflette una logica collusiva di rispetto dei territori altrui e di difesa dei prezzi. Ora le possibilità di crescita ulteriore si riducono ai paesi emergenti (soprattutto la Cina) o a un’aggressione ai nemici. Ci sono avvisaglie di questo secondo scenario. H&M ha annunciato che vuole portare le vendite americane da 1,5 a 4 miliardi di dollari entro il 2020. Ma è soprattutto Fast Retailing che sembra rinverdire i fasti di altre invasioni giapponesi degli Usa. Negli ultimi mesi ha aperto velocemente nuovi negozi lungo le due coste del continente e vuole inaugurarne altri 100 entro due anni. Punta a realizzare nel 2020 10 miliardi di dollari negli Stati Uniti, pari alle vendite attuali in tutto il mondo. Non si vede come possa riuscirci senza una reazione di Gap. In parallelo Fast Retailing saggia il mercato tedesco, dove ha aperto un primo negozio.
Ci sono poi gli attori più piccoli. Benetton e Abercrombie & Fitch cercano di rinfrescare formule appassite. Rivali emergenti propongono stili nuovi, come i colori mediterranei di Desigual o la moda per le giovanissime di Forever 21. Altri ancora, come Mango, abbassano i prezzi, andando a scontrarsi con Inditex. Questo rumore crescente della battaglia si accompagna alle sfide perenni dei fashion retailer, che devono coordinare supply chain complesse e disperse, gestire migliaia di negozi in tutto il mondo, seguire le evoluzioni quasi giornaliere dei consumatori. Si crede che l’informatica sia oggi l’espressione massima dell’innovazione aziendale, ma se si paragona la manciata di articoli nel product mix di Apple con i 30.000 modelli creati da Inditex ogni anno, forse l’innovazione si aggira più a La Coruña che a Cupertino.

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