OPINIONI |

Se il legislatore scende in campo per lo sport

IL DIRITTO ALLA PRATICA SPORTIVA COME DIRITTO COSTITUZIONALE: UNA PROPOSTA A FAVORE DI GIOVANI, CULTURA ED ECONOMIA

di Lorenzo Cuocolo, professore associato di diritto pubblico comparato

I dati di abbandono dell'attività sportiva in età giovanile ricordano paurosamente quelli della disoccupazione: circa un ragazzo su due lascia lo sport. Ed è un addio senza ritorno. I motivi sono vari, ma su tutti emerge la grave carenza di impianti sportivi di quartiere e di disponibilità di impianti a uso delle scuole. Se la pratica sportiva richiede ore di trasferimenti, magari nel traffico, è inevitabile che molti abbandonino. Soprattutto in presenza di una scarsa flessibilità ed elasticità da parte del sistema scolastico, che raramente incentiva l'impegno sportivo degli alunni.

La questione si inserisce in un tema molto più ampio, quello del diritto allo sport. La nostra Costituzione non lo riconosce espressamente. E non è un caso: all'epoca della stesura, infatti, era ben fresca la memoria fascista dello sport quale mezzo per il miglioramento fisico e morale della razza.
È peraltro vero che ci sono numerosi articoli della carta costituzionale che, seppure indirettamente, assicurano protezione allo sport. Basti pensare alla clausola sui diritti inviolabili (art. 2), alla tutela della salute (art. 32), alla libertà di riunione e di associazione (art. 17 e 18). Nel 2001 poi, con la riforma del Titolo V, è stato precisato il riparto di competenze tra stato e regioni in tema di “ordinamento sportivo” (art. 117, c. 3).
Al di là dei riconoscimenti formali, resta il fatto che lo sport è sicuramente un alleato fondamentale nelle politiche di tutela della salute, soprattutto nella prospettiva della prevenzione dalle malattie. Ha, poi, una forte valenza di contrasto all’esclusione sociale e favorisce l’uguaglianza dei cittadini. Inoltre, favorisce la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile, incentivando comportamenti eco-compatibili. Non si deve, infine, sottovalutare il ruolo culturale dello sport, che si rivela anche un motore importante per il turismo (le statistiche europee dicono che il turismo sportivo è fra le forme più remunerative e promettenti).
In considerazione del grande e composito valore che lo sport sintetizza, sarebbe necessaria e opportuna una espressa copertura costituzionale? Altri paesi hanno risposto in senso favorevole: dalla Grecia al Portogallo, dalla Svizzera alla Turchia, dall’Ungheria a Cuba, e si potrebbe proseguire. In Italia si è detto perché il costituente ha preferito evitare. Oggi, però, i tempi sembrano maturi per una nuova riflessione sul punto.
Quel che più conta, tuttavia, è che la protezione del diritto allo sport sia concreta. Ancora più delle previsioni costituzionali, dunque, contano le politiche concrete sviluppate con interventi legislativi e con provvedimenti ministeriali. La percezione dello sport come valore e come diritto deve tradursi nella realizzazione di politiche differenziate che, oggi, non possono prescindere da un rapporto virtuoso tra il comparto pubblico e quello privato. E così, per esempio, l’edilizia sportiva non può essere trattata come qualunque altra forma di edilizia. La realizzazione di nuovi impianti sportivi di quartiere dovrebbe essere sganciata dal patto di stabilità, offrendo maggiori occasioni di intervento ai Comuni. Ugualmente il ruolo delle società sportive, soprattutto non a fini di lucro, deve essere valorizzato, per esempio favorendo l’integrazione con le scuole per la gestione delle palestre e degli impianti negli orari extra-scolastici.
Se, dunque, un riconoscimento costituzionale è auspicabile, la sua utilità è soprattutto quella di fungere da indirizzo e vincolo per l’adozione di politiche concrete di tutela e valorizzazione dello sport. Senza queste, qualunque formula normativa, anche la più nobile, è destinata a rimanere vuota.

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