OPINIONI |

Si fa presto a dire crescita

TRA GLI OSTACOLI SULLA STRADA PER ABBANDONARE LE POLITICHE DI AUSTERITÀ ANCHE LA STRUTTURA STESSA DELL'UNIONE ECONOMICA

di Edmondo Mostacci, docente di diritto costituzionale e diritto pubblico dell'economia

Il dibattito degli ultimi mesi testimonia la necessità di superare, a livello europeo, le politiche di austerità e di implementare nuove politiche per la crescita, di impatto più celere delle politiche strutturali. Questa esigenza si è affermata in virtù dei risultati perseguiti nel triennio passato e sembra essere divenuta del tutto impellente all’indomani delle elezioni europee.

Tuttavia, se l’esigenza sembra avere permeato il dibattito, la sua pratica soddisfazione rischia di trovare nelle stesse strutture dell’Unione economica e monetaria un ostacolo di difficile superamento. Infatti, il complessivo progetto di creare un’area valutaria caratterizzata da una moneta comune (la cui gestione è affidata a un’istituzione appositamente costituita) e dall’assegnazione della politica economica al livello di governo statale si fonda su quel tipo di visioni economico-politiche in grado di predicare e sostenere la funzionalità di una siffatta costruzione. Di conseguenza, dai lavori del Comitato Delors, i principi fondativi e le strutture dell’Unione economica e monetaria sono definiti sulla base di uno specifico paradigma che finisce non soltanto per sostenere ma altresì per permeare la costruzione complessiva.
Così, la costituenda Banca centrale è posta in una posizione di assoluta indipendenza e di imparzialità rispetto ai decisori politici europei e nazionali; la politica monetaria trova nella sola stabilità della valuta la propria principale e preclusiva finalità; il divieto di finanziamento monetario dei bilanci pubblici viene bandito anche per le ipotesi di difficoltà straordinarie e rinforzato con il divieto di bail out. Al contempo, il debito pubblico è inquadrato nei semplicistici termini di “problema” da tenere sotto controllo, le politiche fiscali discrezionali vengono sfavorite, e il coordinamento delle politiche economiche nazionali è perseguito soprattutto sul versante negativo, con l’apposizione di fiscal rules (i noti parametri di Maastricht) di carattere nominale. Il presupposto fondamentale consiste nella convinzione che l’insieme di mercato comune, moneta unica, stabilità monetaria e gestione virtuosa della finanza pubblica statale avrebbe prodotto una spontanea convergenza delle performances dei diversi sistemi economici della zona euro e, al contempo, la maggiore crescita economica possibile. Quando la crisi economica e finanziaria ha coinvolto la finanza pubblica dei paesi Gipsi e, con essa, la stessa sopravvivenza della moneta unica, i decisori pubblici hanno scelto, con le politiche di austerità, l’opzione più coerente con l’impianto primigenio dell’Unione economica e monetaria. Oggi, il riorientamento delle direttrici di politica economica sottese alla formula delle “politiche per la crescita” presenta il problema della capacità delle strutture dell’Unione di supportare un rinnovato impegno del settore pubblico nella sfera economica: in quale sede potranno coordinarsi gli interventi di 18 decisori pubblici nazionali? Senza coordinamento, come prevenire che le iniziative degli stati siano contraddittorie l’una con le altre? O ancora, come potrà la politica monetaria raccordarsi con una pluralità di politiche economiche diverse per impostazione e modalità di intervento?
In buona sostanza, in assenza di un profondo rinnovamento dell’Unione, la strada seguita nel triennio passato rischia di essere la sola concretamente perseguibile.

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