OPINIONI |

No al copyright sui file per le stampanti 3D

SOLO QUANDO L'OGGETTO FISICO È SOGGETTO A DIRITTO D'AUTORE LA SUA RIPRODUZIONE DIGITALE MERITA LA PROTEZIONE DI LEGGE

di Maria Lilla' Montagnani, direttore del Centro Ask Bocconi

L’opinione è che la stampa 3D, fondendo il tangibile con il digitale, cambi il nostro modo di interagire con il mondo. Invece di acquistare una commodity pensata da altri e prodotta in un luogo sufficientemente vicino da essere conveniente, persone su lati opposti del globo potranno collaborare alla progettazione di un loro oggetto personalizzato per poi stamparlo (nel senso di realizzarlo in tre dimensioni) a casa propria e a costi contenuti.

Proprio come i computer hanno permesso di diventare produttori di film, autori di articoli e creatori di musica, le stampanti 3D consentiranno a tutti di diventare creatori di cose. Proprio come l’avvento del digitale ha dato origine alle “copyright wars” tra titolari del diritto d’autore e utenti inclini a realizzare e facilitare la circolazione non autorizzata dei contenuti protetti, il timore è che la stampa 3D permetta di copiare oggetti, o parti di oggetti, protetti da diritti di proprietà intellettuale. Proprio come l’avvento degli mp3 ha determinato la produzione del primo lettore mp3 e la creazione di nuovi modelli di business per la distribuzione online della musica, così non vi sono ragioni per credere che le imprese non sfrutteranno le nuove opportunità svelate dalla stampa 3D.
Ma per il momento, anziché salutare con favore queste prospettive di sviluppo, ci si focalizza sulla minaccia della pirateria. Da più parti, a fronte del grido di Pirate Bay “You will download your sneakers within 20 years” (“Entro vent’anni ci si potranno scaricare le scarpe”), si lamenta che questa nuova rivoluzione industriale non dovrà avvenire a scapito degli attuali incumbent, titolari dei diritti di proprietà intellettuale su quei manufatti che la stampa 3D renderà riproducibili da chiunque, in qualunque luogo e a costi decisamente inferiori.
Nondimeno, onde evitare di commettere gli errori del passato, occorre innanzitutto capire se la stampa 3D rappresenti davvero e a priori una violazione del diritto d’autore. Se è vero infatti che gli oggetti fisici possono “vivere” in forma di file .stl che vengono decodificati dalle stampanti 3D, ciò non vuol dire che la versione digitale di un oggetto sia sempre e comunque protetta da copyright, per il solo fatto di essere digitale. È prima necessario che l’oggetto fisico sia protetto dal diritto d’autore per affermare che la sua riproduzione virtuale, o meglio l’uso non autorizzato di tale riproduzione (il file .stl), costituisca una violazione del copyright. Se invece si garantisse il diritto d’autore sulle rappresentazioni virtuali di tutti gli oggetti (cioè su tutti i file .stl) – anche quelli che riproducono oggetti non protetti da copyright – si opererebbe un’indebita estensione della protezione tipica della privativa che si tradurrebbe, a sua volta, in un livello altissimo di controllo sulla distribuzione e fabbricazione degli oggetti da parte di coloro che li producono.
Ciò non toglie che l’oggetto fisico possa essere oggetto di brevetto e che la sua riproduzione tramite stampante 3D possa violare quest’ultima privativa, ma a questo punto non è più un problema di copyright sul file digitale, ma di brevetto sull’oggetto fisico.
Sarà in questo senso che ci si dovrà quindi muovere e non cercare di ottenere che il diritto d’autore annoveri tra gli oggetti della propria protezione anche i file digitali, in particolare non quelli destinati alla stampa in 3D.

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