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Tutti i costi della sicurezza nel Salvador

LA VITA DEGLI ESPATRIATI NEL SECONDO PAESE PIÙ PERICOLOSO AL MONDO

Stefano Gatto

Le statistiche dicono che El Salvador è il secondo paese più pericoloso del mondo, dopo l’Honduras e immediatamente prima del Guatemala, due nazioni limitrofe. I dati relativi alle morti violente sono nettamente peggiori rispetto a Iraq e Afghanistan, tanto per prendere esempi noti.

Arrivando nella capitale, San Salvador, l’espatriato europeo rimane turbato dalla poca presenza di pedoni per le strade. Passeggiare è ritenuta un’attività pericolosa e ci si sposta quasi esclusivamente in macchina. Per le stesse ragioni di sicurezza e per l’influenza dello stile di vita americano, la vita sociale ruota soprattutto intorno agli shopping center pesantemente presidiati da guardie armate - le stesse che si vedono di fronte a ogni attività commerciale, per quanto minima, a partire dalla semplice cartoleria.

Non stupisce, allora, che pochissime imprese straniere investano nel paese e che la piccola comunità degli espatriati sia legata più alla diplomazia che al settore privato. Un’impresa che voglia inviare qui un manager deve prevedere dei sovracosti legati alla sicurezza, che vanno dalla scelta di un alloggio sicuro alle misure di protezione personale. Le stesse istituzioni internazionali spesso faticano a trovare personale disposto a lavorare qui, nonostante gli stipendi siano in parte indicizzati alla pericolosità del paese.

La causa di tale violenza è da ricercarsi nella situazione socio-economica, squilibratissima, con una percentuale altissima della popolazione in situazione di povertà, pochi ricchi, un'economia centrata su pochi prodotti tradizionali (caffè, zucchero, ultima trasformazione di prodotti tessili a basso valore aggiunto, la cosiddetta maquila), scarsa crescita e forte emigrazione. Dei sei milioni di salvadoregni censiti, ben due e mezzo vivono negli Usa, quasi sempre in situazione irregolare, e sono soprattutto le persone tra i 25 e i 40 anni che emigrano, lasciando nel Salvador i figli. Questi finiscono per crescere senza punti di riferimento e cedono facilmente al fascino perverso delle gang, che controllano interi quartieri delle città, in cui lo stato ha grandi difficoltà ad operare servizi pubblici anche minimi (ospedali spesso senza medicine, scuole senza professori). È significativo che le rimesse degli emigrati (17% del Pil) siano superiori alle tasse che lo stato riesce a raccogliere (15%).

Per quanto intensa, la violenza è localizzata e coinvolge molti quartieri, ma senza quasi toccare quelli residenziali. Qui gli espatriati vivono a fianco dell’élite locale, con la quale è possibile interagire. Non si vive esclusivamente tra stranieri, ma l’utilizzo del tempo libero è condizionato dal fatto di vivere in un paese al di fuori dei circuiti culturali internazionali e da apprezzare soprattutto per le bellezze naturali: molto escursionismo, quindi, e vita all’aria aperta. Il paese offre grandi spiagge perlopiù deserte, bei vulcani, splendidi paesaggi.

Anche la popolazione, aperta e spontanea, sarebbe un punto di forza, se la situazione economica non fosse così compromessa. Il governo attuale fa quello che può, ma il paese non condivide il buon momento dell'economia latinoamericana, che è uscita perlopiù rafforzata dalla crisi globale, e anzi soffre del suo legame a filo doppio con l'economia Usa e della sua scarsa diversificazione.

L’Unione Europea, che vuole avere un ruolo attivo nella soluzione dei problemi globali, è protagonista di forme di cooperazione centrate su due pilastri: quello sociale (prevenzione della violenza tra i giovani, istruzione secondaria) e quello economico (riforma fiscale, miglioramento della competitività dell'economia). Questo genere di cooperazione riscontra apprezzamento e mostra anche buoni risultati.



di Stefano Gatto, laureato Bocconi, dirige la delegazione dell'Unione europea in El Salvador

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