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Come aiutare il leader a non deragliare mai

, di Andrea Montefusco - SDA professor di organizzazione e personale, e' senior researcher del Croma Bocconi
Per gestire le persone la psicologia spiccia non basta e la complessità viene governata solo da gruppi integrati

Le imprese hanno bisogno di essere governate. Viene istintivo, pensando a imprese di successo, associarle a un leader: la Microsoft è Bill Gates, l'Apple era Steve Jobs, la General Electric era Jack Welch. A fronte di questo elenco positivo, ne dovremmo però aprire un altro negativo: dove erano i leader quando si verificavano catastrofi organizzative? Ricordiamo tutti la Union Carbide India Limited della tragedia di Bhopal e la KLM del disastro aereo di Tenerife: si persero molte vite umane. Oppure la Enron o ancora la profonda crisi subprime, che sta addirittura portando in tribunale l'agenzia di rating Standard & Poor's, in cui si perse la fiducia nelle istituzioni economiche, nelle imprese, nelle possibilità di uno sviluppo sostenibile dei sistemi finanziari. Dove erano i leader?

Andrea Montefusco

Deragliati, come un treno che esce dai binari proprio mentre è lanciato verso la sua meta, che sembra assolutamente definita, in un'accogliente stazione. Ma perché il leader deraglia? Con Giovanni Dosi, direttore dell'Istituto di Economia della Scuola Superiore S.Anna di Pisa e Anna Canato, direttore del Dipartimento di management dello Ieseg di Parigi, abbiamo iniziato a costruire un percorso di ricerca che renda più robuste e normative le risposte a questa domanda.

La soluzione si costruisce in tre passaggi. Il primo momento riconosce che le persone agiscono con regole di comportamento complesse: per indirizzare le persone in impresa la psicologia spiccia (folk psychology), che tutti adottiamo nella vita quotidiana, non è sufficiente, ma occorre allenarsi a interpretare correttamente atteggiamenti articolati. Così abbiamo battezzato affective leadership la capacità del leader e della leadership di generare stati emotivi nei gruppi, necessari per agire e attivare l'apprendimento, e di sostanziarli nel tempo attraverso atteggiamenti visibili e percepibili dalle persone e concretizzati attraverso "artefatti" che mantengano nel tempo l'indirizzo dell'azione e la volontà ad agire verso i risultati. Tale capacità produrrà, in un secondo momento, lo spostamento del focus dall'individuo, dal leader da guardare e seguire, verso un atteggiamento, uno stile. Le persone agiranno sì come individui, ma integrati nel contesto dell'impresa.

È a questo punto che la leadership diventa integrata: l'impresa è un sistema ecologico in evoluzione in cui l'unità inferiore non è l'individuo, ma i molteplici gruppi che vi operano. La capacità di governare complessità nasce dall'integrazione di differenti individualità cognitive che possono rendere l'impresa abile a interpretare le nuove sfide. Ma solo se il leader sarà in grado di integrarle sia nel pensiero che nell'azione.

Perché cambiare i rassicuranti archetipi del leader come eroe solitario, in grado di affrontare le tempeste e ispirare l'innovazione? Perché la stessa forza che serve ai leader per rompere gli schemi e i pregiudizi, e che essi sono in grado di indirizzare verso l'organizzazione per farsi seguire, questa energia senza la quale le organizzazioni non sarebbero in grado di innovare e sopravvivere, se non mediata da uno stile di leadership che la trasformi in un atteggiamento collettivo, smorzandone gli eccessi e ampliandone visione e intelligenza, questa energia progressivamente "consuma" il binario. Solo gli altri, integrati nel contesto dalla leadership, notano la rotaia consumata e possono non solo fare in modo che il leader non deragli, ma contribuire a fargli costruire nuovi binari.